
Oscar 2023, i migliori escono senza prezzo. Benefattori travestiti e il bisogno di Hollywood di sentirsi a proprio agio con la propria coscienza
quanto voleva Harrison Ford premia chi lo ha reso “immortale” come archeologo dei sogni, ma invece di Steven Spielbergil grande perdente con Martin McDonagh di questa Notte degli Oscar, si è ritrovato premiato I Danieltrionfante per loro Tutto ovunque tutto in una volta con 7 statuette, di cui 3 pesantissime come miglior film, regista e attrice protagonista. Ancora una volta l’Academy ha puntato sul “nomadismo identitario” – puntualizzano giustamente i commentatori dello speciale di Sky Cinema, che sono meglio di un Jimmy Kimmel molto deludente – dopo nomadland (La Cina dominerà ancora di più quest’anno…) e, a suo modo, CODAnomade per il sistema di comunicazione che porta ancora all’amore. Benefattori travestiti da generi diversi, il bisogno di Hollywood di ritrovare la pace con la propria coscienza attraverso un’opera apparentemente sperimentale, non solo sopravvalutata, ma che la critica non avrebbe sminuito così duramente se non fosse stata “caricata” di ben 11 nomination, di che 7 trasformano. Quindi, se l’Accademia ha ragione, il divario tra Hollywood e la critica è ormai chiaro. Spielberg e McDonagh – portacolori dei film più nominati – escono senza premi.
Oltreoceano, con un salto nello spazio/tempo, per fortuna i 4 Oscar di Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, che ha vinto anche il premio per il miglior film internazionale oltre a quelli per la scenografia, la colonna sonora e la fotografia. Lo scioccante film di guerra ispirato al testo fondante di Remarque, è un manifesto per la pace all’interno di un’opera di intelligenza cinematografica, e i suoi riconoscimenti dialogano in tal senso con il premio per il miglior documentario assegnato al bellissimo Navalny di Daniel Roher: eppure “casuali”, i due titoli intercettano la drammatica situazione critica contemporanea. Una tragedia fatta “di corpi” dal gigantesco Brendan Fraser finalmente riconosciuto tra i “grandi” grazie all’Oscar come miglior attore protagonista La balena sempre scomodo Darren Aronofsky. Sono il suo corpo, i suoi occhi rossi, la sua voce spezzata a suggellare il momento più commovente di una serata presto dimenticata, (a parte Lady Gaga, sublime in una maglietta elegante e senza trucco come noi) un momento che “sì” corrisponde anche al valore letterario delle fonti immortali (in La balena “vive” Moby Dick) ad un altro film pluripremiato, il Pinocchio di Guillermo Del Toro, salito sul palco per ritirare l’Oscar per il film d’animazione e con la consueta dolcezza per dichiarare “Sono tuo figlio”. Sono le grandi fiabe a rendere eterni i sogni (per questo presto dimenticheremo l’EEAAO…), è l’immaginazione di un gruppo di donne che restituisce la complessità del vero femminismo: per questo va applaudito anche l’Oscar donne che parlano Di Sara Polli per lo scenario adattato. Un ipotetico duetto con il Allievi di Alice Rohrwacher sarebbe stato perfetto.
Insomma, questo pizzico di bellezza e coraggio emerso dalla 95a Notte degli Oscar – una cerimonia dalla formula non solo moribonda ma ormai semi decomposta – dà un po’ di luce a un pachiderma ormai intrappolato nel “buco nero” politico la correttezza, il fare bene, la giostra degli applausi reciproci che sappiamo non sfigurare, con poche eccezioni. Dopotutto, se ti colpisci, sei “respinto”. È tempo di trasformare i membri dell’Accademia in pietre parlanti dell’EEAAO? Per inciso, una delle poche scene veramente geniali del film, con il monologo del funzionario dell’amministrazione fiscale, anzi un (finalmente) premiato Jamie Lee Curtis.